

Lo vedevamo ogni giovedì verso le 15.00.
Stesso carrello motorizzato. Stesso cappello giallo JEGS. E sempre, sempre, lo stesso mazzo di rose rosse nel cesto. Passava dritto davanti alla gastronomia, entrava nel reparto fiori, sceglieva il mazzo più pieno e lo annusava come se significasse ancora qualcosa.
Una volta la mia collega Kira gli chiese: “Oggi c’è un’occasione speciale?”
Lui sorrise e disse: “Non oggi. Solo giovedì”.
Quella settimana decisi di seguirlo fuori, solo per curiosità. Caricò la spesa in una berlina beige con mani tremanti. Se la prese comoda, pulì il cruscotto come se fosse importante, poi aprì la portiera del passeggero.
Fu allora che la vidi.
Sembrava elegante anche con un cardigan consumato. I capelli grigi erano raccolti da un nastro di velluto. Gli occhi spalancati e vuoti, come se fosse da un’altra parte.
Le porse le rose senza dire una parola.
Li guardò come se non avesse mai visto un fiore prima.
Poi sorrise.
“Sono dell’uomo che mi portava i fiori?” chiese.
Fece una pausa di mezzo secondo. Poi annuì.
“Sì, tesoro. Ogni giovedì.”
Le baciò la fronte e la aiutò ad allacciarsi la cintura.
Rimasi lì a guardare come un idiota, con il cuore in gola.
E non riuscivo a smettere di pensare a quanto dovesse far male essere ricordato come uno sconosciuto dalla persona che un tempo sapeva tutto di te.
Ma la settimana successiva?
È ritornato.
Stessa ora. Stesso cappello. Stesse rose.
Solo che questa volta afferrò anche un secondo mazzo di fiori.
E ci ho messo un bigliettino.
L’ho visto scivolare fuori mentre girava il carrello: piegato, scritto a mano, con solo tre parole in evidenza:
“Nel caso in cui lei…”
Non riuscivo a liberarmi dall’immagine di quelle rose, dallo sguardo vuoto dei suoi occhi e dalla silenziosa devozione dell’uomo con il cappello giallo JEGS. Era una storia incisa nei petali e nei gesti silenziosi, una testimonianza di un amore che si rifiutava di svanire, anche quando il ricordo lo faceva.
Il giovedì successivo, ero decisa a leggere il biglietto. Mi posizionai vicino al reparto fiori, fingendo di curiosare tra i gigli. Arrivò come previsto, con il suo carrello che ronzava dolcemente. Raccolse le solite rose, poi scelse con cura un secondo bouquet più piccolo di margherite bianche. Scrisse qualcosa su un bigliettino, lo piegò e lo infilò tra le margherite.
Mentre si voltava per andarsene, non ho resistito. “Mi scusi, signore?” ho detto, con la voce che mi tremava leggermente. “Il biglietto… cosa dice?”
Si fermò, gli occhi azzurri che si socchiudevano agli angoli. “È solo un piccolo promemoria”, disse con voce gentile. “Per lei.”
“Un promemoria di cosa?” chiesi, con la curiosità che mi bruciava.
Sorrise, un sorriso triste e dolce. “Di chi è per me. Di chi sarà sempre.”
Non si è dilungato, ma non ne avevo bisogno. Ho capito. Non si trattava di ricordarle ricordi specifici, ma di ricordarle la sensazione di essere amata, di essere amata.
Nelle settimane successive, osservai la loro routine. Le rose, le margherite, il tranquillo viaggio di ritorno a casa. Notai dei sottili cambiamenti. A volte gli sorrideva e lo chiamava per nome – un nome che poi scoprii essere Silas. Altre volte lo guardava confusa, cercando con gli occhi un volto familiare.
Un giovedì, le margherite furono sostituite dai girasoli. Sembrava stanco, i suoi passi un po’ più lenti. Mentre pagava i fiori, disse alla cassiera: “Le piacevano i girasoli. Le ricordavano il suo giardino”.
La cassiera annuì, con gli occhi pieni di comprensione. “È fortunata ad averla, signore.”
Lui sorrise e disse: “No, signora. Sono io il fortunato”.
Più tardi quel giorno, mentre uscivo dal negozio, vidi la loro auto parcheggiata vicino all’uscita. Silas era seduto al posto di guida, con la testa appoggiata al volante. La portiera del passeggero era aperta e i girasoli erano sparsi sul sedile.
Mi avvicinai con cautela. “Signore, sta bene?” chiesi.
Alzò lo sguardo, con gli occhi rossi. “Lei… lei si ricordò del giardino. Per un attimo. Solo un attimo. Disse: ‘Silas, ricordi i girasoli?’. E poi… poi sparì di nuovo.”
Fece una pausa, con la voce roca per l’emozione. “Ma ne è valsa la pena. Ogni rosa, ogni margherita, ogni girasole. Ne è valsa la pena, per quei momenti.”
Il colpo di scena arrivò qualche settimana dopo. Stavo lavorando fino a tardi, riempiendo gli scaffali, quando vidi entrare Silas. Era martedì, non giovedì. Sembrava diverso, più composto. Andò dritto al reparto fiori, ma invece di rose o margherite, scelse una piccola pianta di lavanda in vaso.
Pagò, poi si rivolse a me. “Se n’è andata stamattina”, disse con voce ferma. “Serenamente, nel sonno.”
Il mio cuore sprofondò. “Mi dispiace tanto”, sussurrai.
Sorrise, un sorriso gentile e accogliente. “Ora è in pace. E io ho tutti quei momenti, tutti quei fiori. Sono il mio giardino ora.”
Mi ha detto che la lavanda era per la finestra della sua cucina. “Le è sempre piaciuto il profumo di lavanda”, ha spiegato.
Ho scoperto che quei biglietti, quei semplici messaggi, non erano solo per lei, ma per lui. Erano ricordi della loro vita insieme, dell’amore che condividevano, della donna che era prima che la nebbia dei ricordi calasse su di lei. Mi ha detto che era stata una scrittrice, una poetessa, e che le sue parole erano state la sua guida, anche quando non riusciva più a pronunciarle.
La lezione di vita in questa storia è che l’amore trascende la memoria, vive nei piccoli gesti quotidiani, nell’impegno incrollabile di amare qualcuno anche quando non riesce più a ricordare. Si tratta di trovare la bellezza nei fugaci momenti di chiarezza e di costruire un giardino di ricordi che fioriscono anche di fronte alla perdita.
L’amore non consiste solo nel ricordare il passato, ma nel creare un presente che lo onori. Si tratta di trovare la forza nella vulnerabilità e la bellezza nella fragilità del ricordo.
Se questa storia ti ha toccato il cuore, condividila. Fai sapere a qualcuno che anche quando il ricordo svanisce, l’amore rimane. E se ti è piaciuta, metti un “mi piace”. Ogni “mi piace” aiuta a diffondere storie come questa e a ricordarci a tutti il potere dell’amore incrollabile.
Để lại một phản hồi