

L’ho notato non appena ho girato l’angolo: un uomo anziano seduto alla pensilina dell’autobus con una piccola torta rotonda in grembo, le candele accese che tremolavano nella brezza mattutina. Nessuna borsa, niente spesa, nessun segno di andare da nessuna parte. Solo… in attesa.
Stavo per passargli accanto. Pensavo che stesse incontrando qualcuno. Ma qualcosa nella sua immobilità mi fece fermare.
Non alzò subito lo sguardo. Continuò a fissare la torta come se potesse rivelargli qualcosa che ancora non sapeva.
Ho chiesto gentilmente: “Stai aspettando qualcuno?”
Sorrise, ma non davvero. “No, non esattamente”, disse. “Non volevo stare seduto in casa tutto il giorno. Ho pensato che forse qui fuori qualcuno avrebbe potuto farmi gli auguri di buon compleanno.”
Mi ha detto che stava per compiere 87 anni .
Ha detto che sua figlia si era trasferita fuori dallo Stato.
Ha detto che i vicini prima controllavano, ma ora “hanno la loro vita”.
Ha comprato la torta lui stesso al negozio all’angolo. Il cassiere non gli ha nemmeno chiesto a cosa servisse.
“Ho acceso le candele perché mi sembrava strano non farlo”, ha aggiunto.
Mi sono seduta accanto a lui. Gli ho detto che ero contenta che non fosse rimasto a casa. E che l’87 gli stava bene.
Lui ridacchiò dolcemente e disse:
“Sei la prima persona con cui parlo in tutta la giornata”.
Poi indicò la seconda forchetta di plastica che aveva infilato nella tasca della giacca e chiese:
“Vorresti condividere una fetta con me?”
Così abbiamo fatto.
Proprio lì, su una fredda panchina di metallo, mentre le auto sfrecciavano e gli sconosciuti correvano verso qualunque cosa il lunedì li attendesse.
Mangiammo una torta al cioccolato con la cera ancora morbida delle candele. Mi raccontò del suo vecchio lavoro all’ufficio postale. Di come conobbe sua moglie a un ballo in chiesa quando aveva 19 anni. Di quell’anno in cui non potevano permettersi regali, così impacchettarono vecchi libri e li rilessero insieme.
Gli ho chiesto qual è stato il suo compleanno preferito in assoluto.
Ci pensò un po’. Poi sorrise e disse:
“Potrebbe essere proprio questo, in realtà. Perché oggi non mi aspettavo niente. E poi qualcuno si è seduto”.
Quel momento mi resterà impresso per sempre.
Non potevo cambiare il suo passato. Non potevo cancellare la solitudine. Ma potevo fare in modo che, solo per una mattina, non fosse invisibile.
Prima di andarmene, gli ho chiesto se potevo scattargli una foto con la sua torta.
Lui disse di sì, ma solo se ci fossi salito anch’io.
Così sorridemmo. Briciole sui cappotti, glassa sulle mani. Due sconosciuti resi meno strani da 20 minuti di silenzio e una torta comprata al supermercato.
E mentre me ne andavo, l’ho sentito dire, soprattutto tra sé e sé:
“Immagino che a qualcuno importi, dopotutto”.
Ecco cosa ho imparato:
A volte le persone non vogliono molto.
Solo essere viste.
Essere notate.
Che qualcuno si preoccupi abbastanza da fermarsi e sedersi.
Quindi, se vedete qualcuno che aspetta – con una fetta di torta, un caffè o semplicemente gli occhi stanchi –
forse è meglio sedersi per un po’.
Potreste essere gli unici a farlo.
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